Sinceramente mai avrei pensato di sentirmi offeso da un film, a meno che non si fosse chiamato “Terroni milanisti che votano Salvini & ingegneri metallari”, ma devo dire che questo Ghostbusters al femminile, di Paul Feig con Melissa McCarthy e Kirsten Wiig, mi ha fatto venire il latte alle ginocchia (aka cadere le palle). Le mie aspettative erano molto basse (clicca qui per sapere il perché), ma quel che ho visto mi ha ucciso il cuore, l’anima e la mia gioventù sprecata tra VHS e Kula World.
Anche se il brutto trailer non ha assolutamente senso con il film, bisogna dire che, prima di snocciolare il peggio, la scelta delle quattro donzelle con gli zaini protonici ed il segretario è molto buona, infatti, le quattro protagoniste riescono a creare un dinamismo interessante, senza dubbio inaspettato, ma che coglie l’attenzione del pubblico, anche per i loro caratteri molto distanti dai classici quattro della pellicola originale, ed il personaggio di Hemsworth è l’unico che fa ridere di gusto.
Partiamo con la prima domanda: Remake, reboot o continuity? Questa cosa non è chiara, infatti se appaiono Murray, Hudson, Weaver e la Potts in ruoli completamente diversi da quelli classici, come a far intendere che si tratta di un nuovo universo, Aykroyd appare parlando di classificazione di fantasmi ed un busto di Ramis (morto nel 2014) nei panni del professore Egon Spengler, mandando a puttane il concetto di reboot e tendendo verso la continuity, praticando un mega-clistere a chi sperava di avere una risposta.
Altra cosa molto poco digeribile: se nella pellicola classica la persona non laureata era di colore, lo è anche in questa pellicola. Probabilmente per permettere allo spettatore di ottenere il parallelismo “non laureata = donna del ghetto”. Un po’ squallido. Quel buon vecchio razzismo Hollywoodiano degli anni d’oro.
Cosa si aspettano tutti da un film sugli acchiappa-fantasmi? Esatto, dei fantasmi; questi appaiono prevalentemente negli ultimi 20 minuti (buttati lì) e sono stati creati con una computer-grafica molto scarsa per i tempi attuali, tanto da far rimpiangere i pupazzoni degli anni ’80. Non voglio dire che “pupazzone is the new CGI” ma Quei pupazzoni per gli anni ’80 erano avanzatissima tecnologia, mentre la CGI di questa pellicola è molto…meh!
Vi sono altre cose che fanno storcere il naso: il continuo inserimento di battute a raffica come se dovessero per forza riempire i tempi, alcune scelte di sceneggiatura e soprattutto il finale, che per la sua totalità, merita un velo pietoso e nulla più.
Il film, prodotto da Ivan Reitman, sta dividendo la critica, tra chi dice che sia una bella commedia senza pretese, altri che, come me, non hanno apprezzato la pellicola ed altri che per partito preso non vanno a vedere la pellicola, tanto che negli Stati Uniti ancora non è riuscito a recuperare tutte le spese sostenute in produzione.
Personalmente mi ha pugnalato, ma ciò non vuol dire che faccia cagare anche voi, infatti se non siete malati della pellicola originale come me potreste anche trovarlo un discreto diversivo per una serata senza porno e droghe.