Oggi parleremo dell’ultima fatica (penultima se si considera l’EP “Cold Dark Place”) degli americani Mastodon, uscita nel Marzo del 2017 ed intitolata “Emperor of Sand”. Con questo album si torna a parlare di concept, e di una storia molto simbolica ed evocativa, infatti il protagonista della nostra storia dovrà vagare per il deserto al fine di sfuggire alla condanna a morte che pende sulla sua testa, una storia che unisce morte, salvezza e sull’importanza del concetto di “tempo”.
Alla moglie del bassista/cantante Troy Sanders è stato diagnosticato un cancro , per questo il concetto di “tempo” torna ad avere un certo valore. Tutto alla fine è andato per il meglio ma i 4 di Atlanta hanno utilizzato questo nefasto stimolo per scavare dentro con maggiore profondità ottenendo un capolavoro. Già, capolavoro.
L’album si apre con “Sultan’s curse” dove le tre voci di Dailor, Sanders e Hinds si intrecciano creando una melodia avvincente, accattivante e con strane sonorità mediorientali che ti catapultano all’interno della storia. Ogni nota, ogni suono, ogni parola è perfettamente pesata e dosata in un album che ti prende da subito. Il suono della band si è evoluto palesemente dagli inizi, infatti il nostro orecchio verrà piacevolmente e stranamente colpito da ritornelli anche molto “catchy” (come in “Clandestiny” e soprattutto il primo singolo estratto “Show Yourself”) inseriti in contesti dove riff molto rapidi e bassi la fanno da padrona. Senza dubbio una delle tracce che più colpisce è “Ancient Kingdom” dove suono, ritmo, e melodia incalzano l’ascolto stupendo per svariati passaggi e soprattutto durante quelle campane sul ritornello che non te le aspetteresti mai, ma sono perfette.
L’album si chiude con la penultima traccia “Scorpion Breath”, dove si presenta l’immancabile Scott Kelly, e quel capolavoro di “Jaguar God”, che in 8 minuti fa capire che la band è ispirata come poche volte in carriera, infatti tra intrecci vocali, cambi di tempo, tastiere si merita di entrare di diritto nella top 5 delle loro migliori canzoni di sempre.
Ascoltatelo, ho poco altro da aggiungere; ogni nota, ogni assolo, ogni fill di batteria (vedere Precious Stones per credere) è perfetto. Riesce a stupire ad ogni ascolto, anche dopo 150 volte (true story). Non so se sono riusciti a superare in epicità e perfezione il loro capolavoro “Crack the Skye” ma se non lo hanno fatto ci sono molto vicini.
Sapevate che sono andato a vederli a Novembre scorso a Parigi? Ma questa storia ve la racconterò un’altra volta…