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LA CASA DI JACK di Lars Von Trier è la Divina Commedia scritta da Nietzsche

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Lars Von Trier ha diretto un altro trattato sui risvolti filosofici della psiche umana.
La risposta alla domanda: cosa accade se un essere umano che non possiede fondamenta emotive, sociali, empatiche tende al superuomo nietzschiano? Stando a Von Trier potrebbe diventare un serial killer. E stando al pieno di documentari sui serial killer che sto facendo su Netflix, tutto sembra dargli ragione. Ma andiamo avanti.

Ogni volta che guardo un film di Von Trier imparo qualcosa su di me.
È come se dopo scoprissi un colore nuovo, una sfumatura diversa, solitamente più scura e distorta.
Ogni volta è una seduta di psicanalisi gratuita che agisce su un livello che non controlliamo, quindi che il film venga “capito” o meno, avrà lo stesso il suo effetto.
Conosco persone che dopo aver visto questo film hanno sognato le peggio cose.
Diciamo che se siete un minimo sensibili dovrebbe rovinarvi come minimo la nottata ma anche lasciarvi delle certezze dentro, su cosa sono le emozioni, e soprattutto su cosa significherebbe non avere le strutture necessarie per farle attecchire.

Jack (Matt Dillon) ci viene presentato attraverso una serie di #INCIDENTI (alcuni degli omicidi – scelti random dice Jack – tra quelli da lui commessi) raccontati ad un interlocutore fuori campo: Verge (Bruno Ganz).
Vengono chiamati #INCIDENTI e già questo la dice lunga su che personaggio sia JACK. Jack non ha una morale ma non è un uomo stupido, sa benissimo che ciò che fa “non è giusto” quindi giustifica il suo comportamento parlando di #INCIDENTI quando in realtà si tratta di azioni sadiche ben premeditate (il più delle volte).
Jack però non ha costruito l’empatia, ne imita soltanto le rappresentazioni estetiche: è orfano (l’informazione viene fornita a scanso di equivoci) e quindi nessuno gli ha mai insegnato i sentimenti. Jack sostanzialmente non sa cosa stia facendo, o meglio lo sa ma non sa come catalogare le sue azioni, o meglio lo sa ma non le cataloga come una persona sana: quel che sa è di essere incompreso, e tende a costruire e poi immediatamente demolire ogni barlume di percorso verso una struttura psicologica solida in un viaggio verso la distruzione e l’autodistruzione continua fino ad un epilogo inevitabile per lui.

Tutto questo è alla base di qualunque comportamento di dipendenza o di distorsione della realtà (per tratti psicotici o vuoti emotivi).
“Vorresti sentirti speciale Jack, ma questo vale per tutti i drogati di dolore” dice Verge fuori campo.
Verge è il grillo parlante di Jack, il suo SUPER IO, nascosto, recluso. Ascolta Jack spesso cercando di mostrargli le sue incongruenze, senza grossi risultati, tra sofisma e scontro.
Tutto viene ben chiarito nello spiegone (ormai elemento caratteristico in Von Trier) con l’esempio dell’uomo che cammina tra i lampioni.
Forse un tantino didascalico, ma Von Trier ormai si è auto-elevato al ruolo di didatta quindi ci sta.

Nel primo #INCIDENTE Jack incontra una Uma Thurman (imbolsita? surgerata?) che immediatamente rivela la misoginia di Von Trier. Donna stupida alla ricerca evidente di eros e thanatos. Come una falena verso l’inevitabile. Vuole proprio mori’. Lei sa, ma vole mori’ uguale. Von Trier non nega le doti naturali di istinto femminile – il personaggio percepisce che Matt Dillon probabilmente la aprirà in due come una cozza – tuttavia ne critica la solidità intellettiva e la capacità di scelta.
Ma pensi di essere superiore? Pensi che tutte le donne siano stupide? chiede VERGE – Jack dice che semplicemente sono più facili da sopraffare, perché ha ucciso anche uomini.
Qui forse Jack non dice necessariamente una bugia, probabilmente è stato Von Trier a scegliere solo vittime donne, perché hanno più appeal sullo schermo, per sadismo o semplicemente per la sua evidente misoginia. Non è detto che Jack sia misogino.

La storia non ha molte chiavi di lettura o piani narrativi. Parte da una tesi e la svolge dando tutte le informazioni necessarie per confermarla e per arrivare alla sua conclusione definitiva e ineluttabile.
Si potrebbe dire che a tratti Von Trier sia manieristico  in questo suo percorso ultralineare – con qualche deviazione lungo la strada giusto per togliersi qualche sassolino dalla scarpa (vedi ennesima dichiarazione ambigua sul terzo reich inserita un po’ così per far rosicare quelli di Cannes e per scandalizzare a tutti i costi).

Le emozioni si imparano, letteralmente come andare in bicicletta, c’è chi cadendo e ricadendo, c’è chi col papà che tiene dietro il sellino e le rotelle ai lati. A volte si dimenticano ma una volta imparate, come andare in bicicletta, salti su per dieci minuti e torna tutto.
Jack non ha imparato nulla. Allena l’empatia di fronte allo specchio. Prova le emozioni: lo stupore, la gioia, la rabbia. Quello che lo muove non è altro che vuoto.
L’osmosi è il processo che muove l’universo, il vuoto che richiama il pieno e il pieno che si muove verso il vuoto, l’entropia e il disordine che tutto macchia fino al raggiungimento di un’estasi universale che sarà la fine dell’universo e della metafisica: la morte di Dio.
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Durante il folle viaggio nella mente di Jack torna spesso a galla la questione “Architetto/Ingegnere”. Jack è un ingegnere ma vorrebbe essere un architetto.
Vorrebbe costruire questa fatidica casa – metafora di una psiche solida, una educazione emotiva, sentimentale ed intellettiva, DIO, ??? – ma tutte le volte il progetto è abortito sul nascere. Il materiale non è adatto. “Il materiale ha una volontà tutta sua” dicono Jack e Verge.
La metafora è appunto forse un tantino didascalica ma è voluta quindi – di nuovo – ci sta.
“L’ingegnere legge la musica. L’architetto la suona”.
L’arte è molte cose e anche l’omicidio può esserlo, questa è la scusa di Jack. L’edonismo è scusa e scopo per un uomo che come un ingegnere comprende la teoria dell’umanità ma non ha gli strumenti per farla propria.
Verge tuttavia lo riprende spesso. Jack in sostanza ha una coscienza e questo dovrebbe negare la corrispondenza tra Jack e super-uomo nietzschiano tuttavia se rileviamo lo scopo – prevalentemente – narrativo di Verge le porte restano aperte anche per questa interpretazione.

Jack proverà l’umanità, spinto come al solito più da uno slancio edonista che da una vera necessità (“Love jack. l’amore. is also an art. not to mention intimacy!” dice Verge), senza successo e dopo questo tentativo fallito la sua malattia trasalirà verso la frenesia maldestra e insaziabile. Quindi è più di una felice coincidenza che il dipinto di Delacroix “La barca di Dante”, ricreato in video da Von Trier, che rappresenta la traversata dello Stige (degli iracondi e degli eretici) in primo luogo doveva essere un quadro sull’incontro con la Lupa, fiera simbolo delle brame insaziabili.

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In conclusione, La Casa di Jack è un film su un serial killer che ci prende a cazzotti con le deviazioni della mente umana. Razionalizza la distorsione, la digerisce e ce la fornisce leggibile e comprensibile grazie ad una regia magnifica ed all’azzeccato scambio tra JACK, un uomo nietzschiano che nega Dio e che a lui vorrebbe sostituirsi (vedi “architetto”), e VERGE che è la sua coscienza soggiogata e inutile tuttavia viva e ferma nelle sue affermazioni.

Jack sostanzialmente è un uomo solo e senza alcuna educazione emotiva, che prova a costruire una sua casa con quello che ha. Da ingegnere, da architetto, alla fine è il materiale quello che conta. Jack costruirà la sua casa con l’unico materiale con cui ha dimestichezza. Gli si apriranno le porte dell’inferno e da lì nessuno è mai più uscito.

Von Trier scomoda Nietzche, Freud, Dante Alighieri per descriverci quanto possa essere malata la psiche umana o meglio quanto possa essere naturale, necessario ed appagante il male per una mente che non conosce i limiti dell’emotività e della morale.

Un saggio sul potenziale umano. Uno schiaffo a chi si sente fuori pericolo. Tutti siamo Jack se dentro di noi togliamo qualcosa (non tutto necessariamente), l’importante è avere il coraggio per ammetterlo a noi stessi.

 

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About E. A. Paul

Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, E.A.Paul si trovò trasformato in Enrico Beruschi
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