Trashic

“Sulla Mia Pelle” era necessario?

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È difficile parlare di un film legato ad una storia vera occupandosi dell’opera e non del suo contenuto: è equilibrismo ma ci provo.
Mentre guardavo, cresceva in me la voglia di aprire un dibattito: qual è il valore artistico ed assoluto di “Sulla Mia Pelle”? È possibile separarlo dal suo ontologico messaggio di denuncia?

Non so quanto siano appropriati, ma i riferimenti cinematografici di genere che mi venivano in mente erano i biopic su Falcone e Borsellino, I cento Passi, Mamma Roma, Amour di Haneke, Hunger di McQueen.
Questo è il bagaglio che influenzava il mio giudizio. Per alcuni sarà misero e fuori contesto, altri non sapranno di cosa stia parlando, ma va bene così.
Ricordo che a proposito di “Amour” (una storia sulla solitudine e l’elaborazione del lutto), Valerio Caprara, canuto ospite fisso di quel covo di democristiani che è la trasmissione “Cinematografo” di Gigi Marzullo, disse senza sfumature: “è pornografia dei sentimenti”.
Ecco, quello che dice Caprara di solito lo prendo con le pinze anche se spesso mi ci trovo stranamente d’accordo, e in quel caso, come forse in questo “pornografia dei sentimenti” può anche starci.
Attenendoci all’etimo: rappresentazione esplicita del sentimento, dell’osceno. Sempre etimologicamente parlando.
Sono d’accordo e non credo sia un’offesa.
Il film è appunto esplicito, lascia poco all’immaginazione, ci sbatte in faccia ciò che conosciamo già obbligandoci all’emozione con leve, forse, troppo semplici.
Quando guardiamo opere di questo genere: crude, piene di ingiustizie, cosa ci muove? Il film in sé, la sua fattura o ciò che esso mostra? Le due cose sono separate?
È un dibattito enorme e riguarda qualunque settore dell’arte.
Quanto pesa la realtà?
Che valore avrebbe “La Guernica” senza retroscena? “I Cento Passi” mi piacerebbe lo stesso se non sapessi che si tratta di una storia vera?
Si può valutare qualcosa, al netto delle vicissitudini che racconta, quando conosciamo già i fatti?
In casi del genere temo di no. Un prodotto come “Sulla Mia Pelle” naviga in un limbo inattaccabile. Inserendosi in un genere che sta tra l’omaggio, il documentario, la biografia e la denuncia sociale, resta poco su cui speculare. Chi potrebbe mai dire che si tratti di un brutto film? Ma a questo punto si può ancora dire che si tratti di un “film”? E’ qualcosa di più? È qualcosa di meno?
Ho molta difficoltà a giudicare appunto per quanto scritto sopra: si possono giudicare sicuramente le interpretazioni. Borghi per esempio è veramente strepitoso: si vede che ha assorbito tanto il personaggio. Non deve essere stato facile evitare l’imitazione o la macchietta di fronte a chi Stefano lo conosceva. Chapeau.

Non è possibile – quindi – separare gli eventi dall’opera in questa occasione. Bisogna chiedersi allora cosa “Sulla Mia Pelle” aggiunga alle circostanze.
Nulla, si limita a rappresentarle e credo lo faccia con molta onestà e – forse – qualche piccola cautela. Non fa il santino di Cucchi e non attacca alla cieca tutte le forze dell’ordine o le persone che hanno circondato il povero Stefano in quei lunghi sette giorni.
Tra ingiustizie, fanatismi, violenze e incompetenze, evita superlativi e racconta all’osso e questo è un merito. Lirismi e licenze poetiche in una storia del genere sarebbero patetici. I fatti sono troppo imponenti per prestarsi a giochi di telecamera e musiche strappalacrime.
Forse è questa la differenza tra il vero e la finzione. La cautela: il lavoro è tutto “a togliere” con la certezza che si tratti della cosa più giusta da fare.
Probabilmente se gli stessi episodi fossero stati partoriti dall’immaginazione di uno sceneggiatore qualunque ci troveremmo di fronte ad un prodotto completamente diverso con Brian Eno di sottofondo che per carità ci sta bene sempre.
Netflix si limita a raccontare – anche per/con un certo tornaconto – l’epilogo ignobile di un ragazzo con una vita complicata.
Senza aggiungere nulla.
Le domande restano tante ma almeno ad una si può rispondere.
“Sulla Mia Pelle” era necessario?
Beh sì, perché  in casi del genere quello che resta alla fine è il senso del film, e non il suo valore artistico. Ed anche se a mio parere il dibattito sulla distanza tra valore assoluto e relativo non si chiude e non si chiuderà mai, rimane il soddisfacimento di un bisogno: quello di piantare a terra un monolite nero alla memoria di un ragazzo e di un momento vergognoso della nostra storia recente.

 
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About E. A. Paul

Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, E.A.Paul si trovò trasformato in Enrico Beruschi
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