Lettera 22

Germania campione del mondo. Con “Uber Alles” AVETE ROTTO IL CAZZ..

Era il 26 giugno del 2009 quando Italia e Germania si sfidarono nella semifinale dell’Europeo under21 in Svezia. Gli azzurrini erano la squadra da battere, forti di una rosa di primissimo livello. Dominarono quella partita, con ventidue tiri totali contro le sette conclusioni teutoniche. Ci condannò un gol da venticinque metri di Beck – più che uno specialista dei tiri dalla lunga distanza, uno con un gran culo – che portò i tedeschi alla finale stravinta contro l’Inghilterra. Prima del fischio d’inizio, i due capitani si scambiarono il gagliardetto: Marco Motta consegnò quello italiano, Benedikt Howedes consegnò quello tedesco.

Cinque anni dopo, il primo scalda panchina (quando va bene) e tribuna (molto più spesso) della Juventus, il secondo è il terzino titolare della Germania campione del mondo. Con lui Özil, Neuer, Boateng, Hummels e Khedira: sei undecisimi della squadra titolare nella trionfale spedizione brasiliana. Degli altri cinque undicesimi, tre erano troppo vecchi per giocare in under21 nel 2009 (Lham, Klose e il giocatore più presente sotto la voce “forse cercavi di Google: Schweinsteiger) e due troppo giovani (Kroos e Müller, rispettivamente classe 1990 e 1989). A questi undici si aggiungono due che quando sono entrati, ovvero sempre, hanno fatto discretamente bene: Götze (gol vittoria in finale) e Shurrle (doppietta al Brasile e gol decisivo agli ottavi contro l’Algeria), nato nel 1992 il primo, nel 1990 il secondo.

Si potrebbe pensare che la Germania si sia semplicemente trovata per le mani una generazione d’oro e su quella abbia costruito il proprio successo. Non solo, ma è andata soprattutto così. Esattamente ciò che non ha fatto l’Italia, capace di vincere cinque titoli continentali giovanili, di cui tre consecutivi, e sfruttarli solo in parte. Nel 1996 infatti gli azzurrini erano Cannavaro, Buffon, Totti, Nesta: dieci anni dopo hanno vinto qualcosa di un po’ più importante. Si è smesso di sfruttare l’under21 perché la categoria non domina in Europa come in passato. Si è smesso di dominare nella categoria perché mentre in giro per l’Europa hanno iniziato a lanciare i giovani nel calcio che conta, noi vantiamo il Crotone che, in Serie B e sempre in lotta per non retrocedere, ha il coraggio da leoni di far giocare i giovani forti (segnatevi questo nome: Bernardeschi).

La Germania è diventata campione del mondo perché ha un progetto serio che funziona benissimo, iniziato nel 2000 e seguito con pazienza e lungimiranza, senza avere la fretta di ottenere tutto dall’oggi al domani e senza aver fatto saltare teste in caso di fallimento a un Europeo. Un progetto che ha portato la Germania ad arrivare tra le prime quattro in qualsiasi manifestazione abbia partecipato negli ultimi dodici anni, e a fargli perdere solo tre partite ufficiali nelle ultime settantadue, peraltro di cui due con l’Italia. La Germania è Campione del Mondo semplicemente perché è la più forte, ed è giusto così.

 

Sfuma al minuto centotredici il sogno dell’Argentina di riportare il titolo a casa dopo 28 anni. Messi non è Maradona e non sarebbe stato paragonabile neanche se l’Argentina avesse vinto la Coppa. Perché el Pibe de oro in Messico ha fatto tutto da solo (vedere il 2-0 sull’Inghilterra per credere), mentre Leo è parte di un’Argentina molto più competitiva di quanto non fosse quella del 1986. Messi ha giocato una buona finale, con buoni spunti e buone giocate, tutte cose che ci si aspetterebbe da un buon giocatore, non dal fenomeno quale è. Per la FIFA è comunque abbastanza per consegnargli il Pallone d’Oro del Mondiale, collocando il premio sullo stesso livello di importanza della vittoria nella gara a chi piscia più lontano (vinto da Nagatomo, incredibilmente).

Citando l’onnisciente Federico Buffa, Messi non è Maradona soprattutto sotto l’aspetto caratteriale. Quando Diego sentì di avere tutta una Nazione sulle proprie spalle, segnò di mano ed esultò pure. Messi vomita. Avrebbero meritato tutt’altra sorte i centomila argentini arrivati a Rio, semplicemente fantastici durante tutto il torneo.

Avrebbero meritato tutt’altro epilogo anche gli olandesi: terzi alla fine dei giochi e una delusione per la sconfitta in semifinale ai rigori che una medaglia mondiale non può cancellare. Gli oranje hanno vinto tutte le prime quattro partite contro avversari di ottimo livello – Spagna, Cile e Messico – e contro la simpatica Australia . Ai quarti sono iniziati i problemi: prima lo 0-0 contro la Costa Rica, rimediato dal pararigori Krul, poi lo 0-0 contro l’Argentina in una partita giocata non da Olanda. Il 3-0 con cui si sono aggiudicati la finalina serve solo per terminare il torneo da imbattuti: anche gli olandesi sono nella storia, ma neanche questo è di consolazione.

Avrebbe avuto tutt’altro epilogo il Brasile se i Mondiali non si fossero giocati in casa. Il tonfo in semifinale, nello stadio Minerao, è di quelli storici, di quelli che si ricorderanno tutti fra cent’anni. Nel 1950 ci fu la storica sconfitta del Maracanazo, così chiamata perché consumata nello stadio Maracana durante i precedenti mondiali brasiliani; nel 2050 ancora ci ricorderemo della sconfitta del Minerazo. Arrivare in semifinale è stata una grande impresa per questo Brasile, soprattutto per il reale valore della squadra da centrocampo in su. Il solo Neymar non può bastare a compensare il reparto offensivo basato su Fred, l’uomo che ha disonorato la storica 9 di Ronaldo, e la costruzione di gioco di Luiz Gustavo e Paulinho, i cui lanci di trenta metri a tagliare il campo spesso erano sballati di trenta metri. I dieci gol subiti in due partite contro Germania e Olanda fanno gridare di rabbia un Paese a cui non servivano altri motivi per incazzarsi. Questo Mondiale ha portato alla maggior parte dei brasiliani più tasse, più disagi, più diseguaglianze sociali e come dessert una mondofigura di merda.

È stato il Mondiale del colombiano James Rodriguez, capocannoniere del torneo e autore di alcuni dei gol più belli della rassegna. Non una rivelazione il dieci dei sudamericani, visto che solo dodici mesi fa il Monaco ha staccato un assegno da quaranta milioni per portarlo via dal Porto. È stato il Mondiale dei fotomontaggi e dei meme: lo sguardo di Martins Indi, le lacrime di David Luiz, il morso di Suarez e la posizione assunta da Cillesen per sistemare la barriera. Ogni partita ha ispirato i wannabe grafici, alcuni semplicemente geniali.
È stato, purtroppo, il Mondiale dell’ “Uber Alles”, frase tedesca che letteralmente significa “sopra tutto”. Deutschland Uber Alles è una parte dell’inno teutonico, ma se lo dite ai tedeschi si incazzano: richiama al periodo nazista e lì su queste cose non si scherza. Ogni volta che la Germania vinceva o passava il turno, i giornali italiani titolavano con Uber Alles. Bastavano due volte per rompere i coglioni, immaginate sei titoli uguali.

Consetudine vorrebbe che ai prossimi Mondiali in Russia, l’Italia arrivi in finale e la perda. Ogni tre edizioni dal 1970, infatti, gli azzurri arrivano fino in fondo vincendone una ogni due. Siccome dodici anni fa siamo stati gli eroi a Berlino, a Mosca dovremmo uscire a testa alta con l’argento al collo. Firmerei oggi stesso per vedere una scena del genere, a patto che l’oro non vada ai tedeschi.

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About Allorio

Ama lo sport, ma non viene granché ricambiato e, probabilmente, se chiedeste a Lui (lo sport) direbbe che non si sono mai visti. Nasce a Cagliari, dove capisce che a scrivere se la cavicchia, mentre a scrivere stronzate è proprio un fenomeno. Bisogna solo stabilire se è merito suo o colpa della pochezza di Cagliari. Cresce artisticamente a Quartu Sant'Elena e questo di per sé fa già molto ridere. Quasi maschilista, quasi sessista, quasi una persona pessima.
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