Recensioni

ASPETTA PRIMAVERA, LUCKY – Flavio Santi

Un paio di giorni fa IL FATTO QUOTIDIANO proponeva  un articolo intitolato “LA VITA AGRA DEI TRADUTTORI – ieri grandi scrittori e poeti, oggi cottimisti dell’editoria”. Non sono sicuro che l’autrice del pezzo (Elisabetta  Ambrosi) abbia letto il libro di cui stiamo per parlare (io ci scommetterei); in ogni caso questa coincidenza  tematica (assoluta) è lo spunto ideale per presentarvi “Aspetta primavera, Lucky” di Flavio Santi (Edizioni Socrates).

Lo ammette anche il protagonista: “Prima ho visto il film La Vita Agra, di Lizzani, con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli, poi ho letto il libro. Embè?“. Quindi mi tocca consigliarvelo anche a voi, guardatelo il film tratto dal romanzo di Bianciardi, vi servirà per creare il mood adatto.

“Aspetta Primavera, Lucky”  è un po’ il fratello scanzonato di “Ultimo Testamento” di Gabriele Dadati: in entrambi i casi i protagonisti sono uomini di lettere inseriti in un contesto editoriale decadente, in entrambi i casi il malessere intimo è specchio di un malessere cosmico, Flavio Santi, come Dadati, si rivolge spesso ad un amico scomparso, forse l’unico capace di comprenderne gli stati d’animo. In questo libro però ci si concentra sul primo punto, descrivendo con ironia un’Italia letteraria triste, governata dalla “Gran Topa” e dal capitalismo sfrenato.
Il fenomeno “editoria mediocre” non è una novità, il precariato degli “intellettuali operai” è un dato di fatto, e stando a quello che dice Flavio Santi (e di riflesso Fulvio Sant, il suo mal celato alter-ego) i traduttori sono quelli più colpiti.
Il protagonista Fulvio è uno di loro, e come tutti lo prende in quel posto: Marx ne “Il Capitale” si è dimenticato di mettere in conto la nota “vocazione” che, stando agli ultimi “inciuci” tra  governo e Confindustria, è da detrarre allo stipendio in percentuali da concordare col diretto interessato (se vuole mantenere il lavoro s’intende, precario ovviamente).
La solita vita insomma, la testa sotto terra come uno struzzo e lavurà.
Strafatto di aerosol, e con un’attrazione sessuale patologica per Simone Weil, Fulvio (che per dovere di cronaca è anche docente universitario) si muove in una realtà grottesca, tra il poetico e lo spassoso, incontrando di volta in volta personaggi mediocri ed arrivisti che pur vivendo di “letteratura” e trovandosi in posti di rilievo, di letteratura proprio non capiscono un cazzo (memorabile il dialogo con Tiberio Sputazzi della casa editrice omonima Sputazzi&Figli).

Il testo è molto divertente, ma è anche un corso accelerato propedeutico per chiunque voglia intraprendere la vita dell’uomo di lettere al giorno d’oggi.
Emerge infatti da questo piccolo tomo (143 pagine) una realtà che è meno rose e fiori e molto meno filo-intellettuale di quanto si pensi: l’editoria è un’industria e come tale non ha paura della macelleria e del lavoro sporco.
Si spera nell’onestà e nella coerenza degli editori e di chi decide le sorti della cultura in Italia, ma è una guerra, si sa.
Al di là delle ovvie divagazioni di natura etica, si tratta di una lettura piacevole e divertente che dovrebbe essere adottata come testo-mascotte dal “sindacato traduttori”, qualora se ne sentisse il bisogno.
Consigliato a tutti gli aspiranti scrittori, editor, letterati. Un appello: pensateci bene, male che vada c’è sempre Albatros!

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About E. A. Paul

Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, E.A.Paul si trovò trasformato in Enrico Beruschi
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