Recensioni

MATTI SLEGATI, Claudio Morici

Ho trovato questo libro su uno scaffale che ne conteneva altri mille, di libri, diversi.
E l’ho pagato pure la metà del prezzo, perché è passato qualche anno dall’uscita, e il formato è piccolino, di quelli pocket.
C’ha la copertina bianca e al centro ci sta una cosa colorata strana, che la guardo e non la capisco e mi mette un po’ d’angoscia, che mi passa solo se lo apro e lo sfoglio.
Leggere mi calma l’angoscia. Io c’ho l’angoscia che se leggo mi passa pure senza Serenase.
Leggo “Matti Slegati” sulla copertina, e mi viene in mente “Matti da slegare” di Silvano Agosti, e penso che potrebbero avere molti punti in comune, e qualcosa c’entra infatti; ma mille volte meglio l’ironia di Morici alla supponenza didascalica di Agosti, che sono trent’anni che parla sempre della stessa roba, ma gli hippy quelli veri mica c’hanno il cinema e staccano biglietti otto euro l’uno per un film in bianco e nero.

Per chi non si fosse mai fermato un attimo a riflettere sui meccanismi che scatenano la risata, sappiano che (aldilà di quel quid che ci donano le vicissitudini e madre natura, Dio l’abbia in gloria) è una parola in più o in meno al posto giusto a fare la differenza tra un sorriso accennato e una risata grassa e liberatoria.

Una virgola, una pausa. Un gesto.

Claudio Morici possiede i tempi comici e li usa; “live” durante i reading e per osmosi su carta, senza che quel quid venga intaccato se si è pronti e recettivi.

Morici dicevamo: lessi “Actarus”(meridianozero) conscio che avrei lisciato la metà dei riferimenti alla cultura nipponica del robot anni ’80 e così è stato. Nonostante il mio enorme handicap in materia, non ridevo così (leggendo) dai tempi di “Parola di Giobbe” e “Pancreas” (che pure lì avevo otto/nove anni e le battute non è che le capissi proprio tutte). Actarus è consigliato a TUTTI i nati tra il 1970 e il  1983/84 (direi che poi un po’ si sfora sulla generazione Tartarughe Ninja, Puffi, poi Pokemon e così via…). Gli altri però compratelo lo stesso eh. E’ pure bello da vedere oh.

La lettura di Matti Slegati partiva quindi con ottime aspettative – queste ovviamente a suo discapito, in potenza.

Prima di cominciare a parlare del romanzo è necessario spiegare questo a proposito dell’autore:

Dopo la laurea in psicologia all’Università di Roma “La Sapienza”, pubblica la sua tesi sui sogni lucidi in un’antologia edita dal Punto d’Incontro (1997) e lavora in varie comunità terapeutiche a contatto con pazienti affetti da psicosi. Questa esperienza nel mondo della follia, ispira il suo primo romanzo, “Matti Slegati” (2003), che ha come protagonista un infermiere psichiatrico che lavora in una comunità terapeutica alle porte di Roma.

… la sua esperienza quindi – reale, sul campo – rende tutto ancora più interessante, no? La fonte è ovviamente wikipedia.

Non ci sono epigrafi altisonanti ad aprire i capitoli (qui “Padiglioni” da “A” a “G”), bensì le posologie, le indicazioni, gli effetti collaterali (e altri estratti da bugiardino) di alcuni psicofarmaci: RISPERDAL, EFEXOR, SERENASE ecc; la scelta è azzeccata ed è facile comprendere anche solo da questo l’amore dell’autore per il dettaglio.

Andrea, il protagonista, è infermiere psichiatrico e pigro osservatore di una comunità terapeutica: non è un eroe, non è un arrampicatore pronto a sgomitare per far carriera. Sta bene dove sta. Cioè non proprio benissimo. Ma cosa volere di più?
I pazienti – manco a dirlo – sono strambi. Le patologie ovviamente divertono con la leggerezza priva di pregiudizio del Morici: uno molto composto e forbito scrive lettere al Papa, l’altro è un mitomane con forti paranoie da complotto, poi c’è la figlia del pezzo grosso che fugge per soddisfare i propri pruriti e altre macchiette assolutamente realistiche (provate ad entrare in un “manicomio”).  Manca l’indiano acromegalico, ma fa niente.
Discorso a sé per i colleghi di Andrea, vera ed unica fauna dagli atteggiamenti imprevedibili e inumani (c’è l’erotomane per partito preso quello che – lo conosciamo tutti – parla di figa pure quando – davvero – non è proprio necessario, la capa del personale che scrive poesie – come il 45% delle donne su facebook ormai, il Morici ha precorso i tempi – e declina offese e modi di dire in chiave genitale rigorosamente femminile (“mi hai rotto le ovaie” e roba simile), il tirocinante tutto dispense e manuali, e il collega esperto romanaccio eterna nemesi del tirocinante).
Inevitabilmente sarà proprio questo continuo confronto  tra “sani” e “insani” – prodotto mentale di Andrea e della sua onestà intellettuale – a regalarci dati, riflessioni e infine una morale più che condivisibile.

E piano piano ci si rende conto che la loro follia seppur manifesta e strana e deforme è più candida della nostra.

Su un letto d’ospedale andrebbe letto. Con le braccia incrociate da una camicia di forza vintage.
Già me lo vedo l’indiano gigante che mi guarda sbavando, e mi volta le pagine.
Grazie!
E il tizio magro magro che fuma i pastelli a cera, le carote, le dita dell’indiano che sbava e dice “Aho!” Poi c’è Gino, quello educato: “Il Papa sta venendo a prendermi, mio papà è Milingo”. Gino è albino.
Poi arriva la caposala.

Ecco, questo sarebbe il clima ideale per Matti Slegati. Fermiamoci un attimo e riflettiamo sul titolo. Fatto?

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About E. A. Paul

Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, E.A.Paul si trovò trasformato in Enrico Beruschi
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